nomofobia

da Libertà, 22/05/2014

A rischio “nomofobia”, dipendenti da internet e social già dai 10 anni

Si chiama “nomofobia” e il nome deriva da “no mobile”. L’allarme è arrivato anche a Piacenza: si tratta del desiderio incontrollabile di guardare il proprio profilo Facebook o di contattare l’amico su Whatsapp e, in tutto il territorio piacentino, potrebbe riguardare un quarto dei giovani, cioè 12.754 ragazzi e ragazze di età compresa tra i 10 e i 29 anni, spinti dal desiderio di essere sempre connessi. Notte compresa.

Secondo le ultime analisi condotte a livello nazionale, quasi la metà dei bambini e dei teenager tra i 10 e i 19 anni, rappresentati in città e provincia da 11.857 giovani su 23.715 compresi in questa fascia di età, possiede uno smartphone. «È del tutto cambiato il concetto di sfera privata, i ragazzi vogliono conquistare più “like” possibili, chiedono così di essere gratificati – sostiene Alessandra Bassi della cooperativa “l’Arco” -. Pensano che tutto quello a cui possono accedere sia gratuito, e invece non è così. Noi educatori vediamo come i ragazzi abbiano ancora ben forte e marcato, in loro stessi, il desiderio di distinguere il bene dal male. Non vogliono essere presi in giro, né manipolati: per questo diciamo loro che dietro a molte “app” gratuite girano tantissimi soldi, intascati da colossi di cui sappiamo poco o nulla. Internet è tutt’altro che uno spazio libero».

Secondo la recente ricerca sulla “dipendenza affettiva” da smartphone e tablet condotta dall’Università Cattolica di Milano, l’86% dei ragazzi afferma di sentirsi più vicino ai propri amici da quando ha uno smartphone, e il 62% si sente più connesso con la famiglia. Ancora, il 79% dei ragazzi dice di sentirsi in dovere di essere sempre raggiungibile dagli amici e dalla famiglia, il 52% afferma di sentire spesso il forte bisogno di controllare il cellulare, e il 43% si sente a disagio quando non può controllare il telefono perchè la batteria è scarica. La comunicazione è dunque continua.

In questo modo gli adolescenti si espongono al rischio insonnia e ai brutti voti, come sottolinea il pedagogista Daniele Novara che spiega come siano impennati i casi seguiti nell’ultimo anno di pre-adolescenti in crisi: sono coloro che ritardano il sonno per chattare e si portano il telefonino a letto. «Privarsi del sonno perché si è legati all’uso compulsivo di questi strumenti è deleterio, siamo di fronte a un’assoluta emergenza educativa – precisa Novara -. Questa situazione ha preso di sprovvista le famiglie: quasi tutti i ragazzi sono riusciti a ottenere uno smartphone, questo vuol dire che i ragazzini di 12-13 anni girano tutto il giorno con in tasca un computer. La scuola avrebbe dovuto dare indicazioni precise, e invece ha preferito puntare tutto sul digitale. Ma questo sistema sta massacrando una generazione di ragazzi che non dorme più. E la dipendenza dal gioco d’azzardo parte proprio da qui».

«Il rischio dipendenza c’è, e il sistema è molto deleterio – concorda la preside dell’istituto comprensivo di Bobbio, Adele Mazzari -. I ragazzi si isolano e vivono in queste piazze virtuali, senza contatti reali. Non riescono a gestire il pericolo, perchè dietro allo schermo sembra tutto finto e facile. Noi interveniamo molto duramente nel caso in cui un bambino porti il telefonino a scuola: lo ritiriamo e chiediamo sia il genitore a recuperarlo. Ma tutti hanno ormai l’ultimo modello».

Avere un computer in tasca significa avere la necessità di rendere pubblico ogni pensiero privato. «Esistono applicazioni che monitorano gli eccessi – precisa la Bassi -. Quando una persona accede per 60 volte allo stesso portale viene segnalato. Il rischio è quello di una “cronofagia”, cioè atteggiamenti che mangiano il tempo. È necessario parlare ai ragazzi, non lasciarli soli. Altrimenti quella che sembra una libertà può finire con l’essere una dittatura, che riguarda anche gli adulti».

La domanda, dunque, è per tutti: riuscite a non guardare il telefonino per più di un’ora? E a cena, si parla o si chatta?

Elisa Malacalza

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