da Libertà, 14/03/2015
Stand e immigrati per raccontare la loro storia di multiculturalità
Nel Comune di Piacenza vivono 18.634 cittadini stranieri, immigrati di recente o antica data. Le comunità straniere più numerose sono quella di Albania (2.706), Macedonia (2.099), Romania (1.934), Marocco (1.693) ed Ecuador (1.673). E la lingua madre dei loro Paesi d’origine – di cui nei giorni scorsi anche Piacenza ha celebrato la giornata internazionale – assume i connotati di un “ponte” che tiene insieme terra d’origine, cultura e tradizioni familiari con il Paese d’approdo. La giornata dedicata alla lingua madre si è tenuta a Borgofaxhall, organizzata dal Centro interculturale di Piacenza, a cui afferiscono una trentina di associazioni da tutto il mondo, in collaborazione con Caprasquare. A Borgofaxhall i referenti stranieri di diverse associazioni di immigrati a Piacenza sono stati, negli stand dei loro Paesi, i protagonisti di un’iniziativa sorprendente e altrove già popolarissima, il “libro vivente“, occasione nella quale hanno potuto raccontare la loro storia di immigrazione. Come Minata Fofana, Costa d’Avorio, 47 anni, sposata, madre e nonna. Arrivata in Italia nel ‘91, a Napoli, «quattro anni dopo ero sul punto di rinunciare a tutto. Troppi problemi di integrazione». Ma poi una positiva storia di amicizia la conduce a Piacenza. Da allora, dal 1999, si occupa di pulizie all’Ausl. Ammette che all’inizio «la lingua ha rappresentato un grosso problema all’integrazione» ma poi riflette che «per trovarsi bene, bisogna farsi volere bene». E’ mediatrice culturale Faouzia Rezgui, a Piacenza dal 2003, tunisina: «Il velo? Dipende dalle persone, se una persona ha conoscenza del perchè lo porto, sa. Se uno non conosce, magari nutre sospetti». Alla giornata della lingua madre ha partecipato tra gli altri Teresa Ringa Musial, dell’associazione polacchi in Italia. «Nel Piacentino – spiega – la nostra comunità è piuttosto numerosa, anche se siamo poco visibili». E poi c’è la storia di Kevin Onuigbo, classe ‘59, originario della Nigeria. Kevin fa parte di quel primo contingente di immigrati che i piacentini conobbero negli anni Ottanta perchè impiegati nei campi, nella raccolta del pomodoro, a Pontenure. «Nel 1982 dopo due mesi a Perugia, per studiare – rievoca Kevin – decisi di lasciare gli studi per motivi familiari. Saltai su un treno per Piacenza, perchè “Piacenza”, il nome stesso, mi colpì anche se all’epoca non conoscevo un granchè l’italiano». Una lunga storia quella di Kevin. Di positiva integrazione: ha lavorato e studiato, è diventato geometra, ha sposato una piacentina. Oggi è padre di due ragazzi e con due soci ha messo in campo una impresa di giardinaggio.