da Il Piacenza, 26/09/14
Sinti e rom sono per tanti “gli zingari”: coloro che rubano i bambini, più spesso anche qualcos’altro di più “materiale”. Sono nomadi, si spostano con le roulotte, non lavorano, sono arrivati da poco o al massimo fanno i giostrai. E invece pare, soprattutto in Emilia-Romagna, che siano sempre più stanziali. E sono in Emilia dal 1400. E hanno paura di noi, anzi, dei “gagi”. Questo ed altro è emerso durante l’incontro “I sinti in campo: una prospettiva di comunità”, un dibattito affrontato all’interno del Festival del Diritto. L’incontro, tenutosi a Palazzo Galli, è stata l’occasione per un confronto tra esperti e rappresentanti di associazioni sinti, per un richiamo alla loro tradizione culturale e artistica.
«Sono in corso diversi progetti – spiega Paola Santoro, che ha coordinato il progetto “Matrix” a Roma su questo tema – soprattutto regionali, per informare e avviare percorsi di formazione rivolti agli operatori che si occupano di discriminazione. Noi per loro siamo i “gagi”, quelli stanziali, e verso i gagi non ripongono tanto fiducia. Ultimamente hanno costituito associazioni, prendono la parola e raccontano le dinamiche della vita nel campo». Più il campo è grande, più è difficile far convivere la gente al suo interno. «Ci sono stili di vita e dinamiche diverse tra famiglie, c’è conflittualità tra loro: ci sono famiglie che vivono in un modo, altre seguono altri modelli. L’idea – racconta Santoro, che sta seguendo diversi progetti di collaborazione tra istituzioni e sinti – è di aprire micro-aree dove vivono singole famiglie allargate, all’interno di una comunità. C’era un disegno di legge in Regione che stava andando in questa direzione, la caduta della giunta Errani ha bloccato l’iter, speriamo si possa riprendere il discorso».
Simonetta Malinverno, sinta di Modena, ha voluto raccontare la sua storia. «Non sono più “nomade”. Vivo in un appartamento nel centro della mia città: le cose stanno cambiando, soprattutto per noi donne. Ora sentiamo la voglia di metterci in gioco, lavorare, mentre prima tutto era rigido: figli, mangiare, pulizia. Tutto qua. A differenza di un tempo percepiamo un sentimento di integrazione, e gli uomini ci lasciano uscire tranquillamente. Ciò è incoraggiante, prima eravamo molto più chiusi. Da 10 anni sono uscita dal campo per vivere in una casa come tutte le altre. Non è facile per noi, c’è discriminazione, i gagi ci fanno paura così come noi facciamo paura a loro. Ma ci sono segni di cambiamento. Ho voluto andare a vivere in una casa perché non riuscivo a sopportare più il peso della discriminazione, e ci sono andata a vivere da sola con i miei figli. Avevo paura anch’io del contatto con gli altri, almeno inizialmente. Vivere nel campo è un modo per tenersi lontano da ciò che è il mondo. Generalmente ci piace vivere nelle roulotte, ma non tutti abbiamo questo desiderio. Se stiamo tutti insieme è perché ci sentiamo forti, più protetti. Ora tanti però vogliono lavorare in mezzo alla gente e non occuparsi solo di giostre».
A Piacenza, in via Torre della Razza, dal 1998 c’è un campo nomadi popolato da circa un centinaio di persone: un terzo sono minorenni. «Mi trovo qua a parlare – ha raccontato di sè stesso Carlo Berini – perché nell’87 sono diventato obiettore di coscienza presso la Caritas di Mantova. Subito mi hanno spedito in un campo nomadi ad aiutare i bambini del luogo a fare i compiti. Di conseguenza sono diventato amico dei miei coetanei che vivevano nel campo. Vi voglio riportare una riflessione. Chi è che ha deciso che i sinti (così si chiamano dentro al campo), fuori dal campo debbano essere appellati con il termine “zingari”? Il primo rifiuto della società – ha continuato Berini – è quello di non riconoscere il loro nome, assegnandone un altro: la maggioranza degli italiani si è inventato il nome zingari e lo utilizza quotidianamente. Dovremmo chiamarli sinti, deriva da “sindh”, una zona del Pakistan, regione originaria della maggior parte di loro. Questo è il primo modo per distruggere questa popolazione: è come se uno straniero ci chiamasse, al posto di italiani, “mangiaspaghetti” o “mafiosi”. In Italia tutte le minoranze sono riconosciute e tutelate: l’articolo 3 della costituzione non ammette alcuna discriminazione, e l’articolo 6 prevede che ci siano norme per tutelare le minoranze linguistiche. Ci sono 12 minoranze riconosciute in Italia, ma sarebbero 13. La minoranza sinta-rom non è riconosciuta da nessuna legge: quando un cittadino italiano rom incontra le istituzioni, nessuno parla la sua lingua. Questa è un’esclusione che parte da lontano, dal 1400. Siamo l’unico paese in Europa che ha questi problemi».
«Siamo restii verso gli altri – spiega Elvis Ferrari, presidente dell’associazione Sinti Italiani di Piacenza – a causa di quello che è successo durante il fascismo. Dal 2006 posso dire che Piacenza è una bella realtà che ci permette di partecipare a un progetto di “allargamento” del campo. È iniziato infatti da quell’anno un buon percorso con le amministrazioni comunali. Dal 2008 inoltre abbiamo costituito l’associazione di cui sono presidente, in modo da avere una voce “in” campo “per” il campo. C’è una bella integrazione, c’è partecipazione, Piacenza è aperta e ci ascolta. Riusciamo anche ad avere lavoro, nonostante il periodo, e c’è un servizio scolastico. Stiamo lavorando anche su altri aspetti, c’è tanta strada da fare, ma dal 2006 questo percorso sta andando bene. Attualmente ci siamo posti anche noi la riflessione sul trasformare il nostro campo in micro-aree». Anche Ferrari però vede qua e là problemi di integrazione da ambo le parti. «Noi l’olocausto – ha spiegato ai tanti giovani studenti presenti all’incontro – lo viviamo ancora oggi: ricordiamo quell’orrore ogni volta che c’è razzismo nella scuola, nel mondo del lavoro e in altri ambienti. Io sono orgoglioso di essere sinto, di far parte di una gente che sa fare di tutto, un popolo che non ha mai fatto guerre, che si è adeguato a tutte le culture. Per questo modo di vivere, insieme agli altri, siamo ancora oggi discriminati. In futuro speriamo possa cambiare: noi ci stiamo impegnando. Piacenza ha aperto le porte ai sinti. Io non posso subire dei soprusi solo perché ho scelto di vivere in una roulotte. Vivere in un appartamento vero e proprio, o stare in una roulotte, non dovrebbe fare alcuna differenza nella vita di tutti i giorni».